Il mondo vegetale rappresenta uno scrigno inesauribile di notizie, cultura e tradizioni, in questo ambito si intende trattare una tematica specifica rapportata alla parte “culinaria”, coinvolgendo in modo precipuo i custodi del contesto rurale isolano, i nostri anziani, i quali rappresentano una fonte inesauribile del sapere e del vissuto, fondamentale valenza da trasmettere alle nuove generazioni.

Piante officinalis, piante aromatiche, piante medicinali e piante di interesse culinario sono alcuni degli spaccati del mondo vegetale, ecosistemi e biovarietà che accompagnano l’uomo nel cammino della vita.

Sono diverse da paese a paese le tipicità e le tradizioni culinarie locali, di seguito si intende riportare  una sintesi di cultura popolare culinaria della nostra terra di Sicilia.

L’uso di verdure nelle preparazioni culinarie moderne apparentemente sembrano considerate secondarie ai piatti elaborati con carne o pesce, ma in effetti nella nostra cucina da un decennio a questa parte si fa un uso più massivo delle verdure spontanee, sono diverse le specie utilizzate per la preparazione di particolari piatti. C’è un certo rapporto con la rinata voglia di natura e la ricerca gastronomica legata alle erbe spontanee, magari qualcuno è attratto dalla forte voglia di conoscere l’elisir della lunga vita, probabilmente depositato nelle piante che calpestiamo durante le nostre passeggiate in  campagna, quelle erbe spontanee che i nostri avi conoscevano meglio di noi che gli hanno consentito una vita sana e longeva.

Lo scrittore e commediografo viagrandese noto con il pseudonimo di  Antonio Aniante scriveva nella sua commedia La Rosa di Zolfo “chi ha fame nell’isola del fuoco non ha che piegarsi e brucare: abbondano le erbe che son tutte buone per la minestra e per l’insalata: anche i fiori, selvaggi, che profumano e allietano le sinistre immensità son da mangiucchiare”.

Le erbe spontanee di interesse gastronomico impropriamente sono considerate le sorelle povere delle verdure coltivate, contengono proteine vegetali, sali minerali, clorofilla e vitamine in abbondanza, sicuramente si possono considerare alimenti completi. Queste verdure spontanee talvolta sono utilizzate per classici contorni, altre sono una valida ed equivalente alternativa ai primi piatti o ai secondi piatti. Le erbe spontanee come le verdure coltivate le troviamo nei nostri mercati tipici (la Pescheria o la “Fera o luni” a Catania oppure la “Vucciria” a Palermo) ma anche dal fruttivendolo, sono un vero e proprio toccasana per la nostra salute, per mantenere il loro valore nutrizionale dei sali minerali e delle altre sostanze è buona norma lessarle. Le piante di interesse culinario si possono trovare in diversi ambienti, dai prati, ai margini delle aree coltivate, nelle scarpate, nei terreni incolti, nelle aree rocciose ed in quelle ruderali, così come i funghi è importante saperle riconoscere. Le erbe spontanee sono tante, alcune buone, altre cattive e di brutto sapore, altre ancora indifferenti e molte anche velenose o tossiche, quindi bisogna seguire il loro esatto riconoscimento, magari seguendo la piccola guida/vademecum redatta dall’Azienda Regionale Foreste Demaniali.

Il nome dialettale è quello creato dalla cultura popolare dove la specie allaccia i rapporti con le realtà (alimentari, merceologici, simbolici, ecc..) del territorio. Da indagini lessicali è emerso che nel territorio etneo insistono due distinte aree dialettofone (almeno per quanto attiene i nomi delle verdure); accade che il nome di Lattuga alata è chiamato “Scursunara” a Ragalna, “Erba scussuni” a Nicolosi, “Periniggiu” a Randazzo, e “Cardedda di petra” a Castiglione.

Che dire di una stuzzicante frittata di asparagi, di una succulenta minestra di bietola selvatica, oppure coste bollite di cardi selvatici, un autentico trionfo la pasta con le sarde ed il finocchietto selvatico, sono questi alcuni dei piatti della tradizione culinaria siciliana, ma le verdure selvatiche utilizzate in cucina sono tante e varie. Una Cricifera particolarmente apprezzata  e utilizzata nella gastronomia etnea è il Cavolicello (Brassica fruticulosa) nota come Caliceddu, è la regina per i nostri campagnoli e i nostri avi, raccolta nella stagione propizia si protrae dall’autunno alla primavera. I cavolicelli si preparano cuocendoli in abbondante acqua, l’acqua di cottura (amara) viene completamente eliminata, vengono serviti come piatto di verdura condendoli con abbondante olio d’oliva, oppure soffritti e accompagnati come contorno della salsiccia arrostita ai ferri. Sembrerà strano ma con l’Ortica (Ortica dioica) si prepara una minestra, si tratta di un pasto povero, un piatto semplice, in uso ancora oggi presso alcuni pastori; con le cime dopo averle sbollentate si amalgamano con uova e formaggio quindi versate in padella con olio caldo per una buona frittata.

Tutti conosciamo la prelibatezza degli asparagi selvatici, ma un bel piatto a base di Sparacogna (Pungitopo) è un’autentica leccornia, le parti utilizzabili sono i giovani rami, denominati turioni, di colore violaceo-rosso; dopo aver sbollentato le cime in acqua salata, far rosolare per pochi minuti in padella,  si possono primi piatti con pasta o risotto, quindi con aggiunta di uova e formaggio anche frittate.


Carmelo Nicoloso (guida naturalistica – coordinatore mezzogiorno d’Italia Comitato Parchi)